Una serie di analisi scientifiche non invasive – riflettografia in infrarosso, IR in falso colore, fotografia in luce diffusa e radente, spettroscopie di riflettanza nel visibile e XRF – ha permesso di conoscere stato di conservazione e tecnica esecutiva, inclusi i pigmenti impiegati, della pala d’altare di Pirano di Vittore Carpaccio. Le indagini hanno consentito di capire come il pittore avesse sviluppato una tecnica assai personale, mirando a ottenere gli effetti di luminosità tipici della pittura veneziana dalla seconda metà del Quattrocento con una modalità caratteristica: abbreviata, rapida, evitando la tipica lenta pratica delle velature e delle lavorazioni delle ombre sopra basi chiare, modellata su esempi fiamminghi. Si è notato, ad esempio, che Carpaccio preferisce lavorare per gli incarnati su basi scure, a schiarire. La particolare rapidità del metodo, che non rispetta l’asciugatura corretta degli strati sottostanti prima di apporre le finiture, sarebbe responsabile di alcuni caratteristici problemi conservativi, specie i raggrinzimenti di molte campiture in opere coeve di Carpaccio. A ciò sono probabilmente legate le perdite di materia e di finiture, e forse anche alcune alterazioni cromatiche. Lo studio include raffronti con altre opere del pittore e cerca di indagare i motivi delle sue scelte tecniche inconsuete in opere dell’ultimo periodo.